Una prima lettura del decreto di riordino

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Prima di affrontare il tema del decreto sul “Riordino della disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica” (D.Lgs. 201/2022) occorre domandarsi perché se ne dovesse sentire il bisogno.

È inevitabile ricordare i numerosi tentativi, tutti abortiti, di “riforma”, forse più ambiziosi di quello ora approvato dal Governo Meloni, che hanno afflitto praticamente tutti i governi dell’ultimo decennio, a partire dal Governo Berlusconi (II e IV) a quello Prodi (II), fino all’ultimo tentativo del Governo Renzi.

Ma al di là dei tanti fallimenti vi è un altro dato di fatto interessante, ovvero che le aziende operanti nei spl, almeno per quanto risulta dalla Relazione 2021 della Sezione delle Autonomie della Corte dei Conti (Deliberazione 15/2021) sono inferiori, come numero, alle società di servizi strumentali: 1.192 (di cui 789 a totale partecipazione pubblica) sono le aziende di servizi pubblici locali, rispetto alle 1.464 strumentali (di cui 926 interamente pubbliche).

Non solo, in termini di finanza pubblica, considerando che molte Utilities vivono di fatturazione propria e diretta ai cittadini, di fatto non hanno neppure un impatto di finanza pubblica poi molto diverso.

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