I dati sulla gestione dei rifiuti urbani in Italia

Lo scorso 3 maggio a Roma è stata presentata la settima edizione del Green Book, realizzato dalla Fondazione Utilitatis, con il supporto di Utilitalia e la collaborazione scientifica di Cassa Depositi e Prestiti.

Il Rapporto fotografa il settore dei rifiuti urbani in Italia nella fase di avvio della regolazione da parte di ARERA, analizzando, in particolare, il quadro della governance locale, la consistenza degli operatori e la loro localizzazione sul territorio nazionale, la dotazione infrastrutturale nelle diverse aree del Paese e gli investimenti sostenuti dai principali gestori, le caratteristiche delle gare pubblicate negli ultimi anni e le tariffe per cittadini e imprese.

Completano il corredo informativo, un approfondimento sui principali strumenti di finanziamento pubblico del settore in ambito europeo e nazionale (curato da Cassa Depositi e Prestiti) e un focus specifico sulle peculiarità gestionali dei grandi centri urbani.

Nel seguito si propone una sintesi dei principali risultati dello studio.

Ad oggi il territorio nazionale conta 57 Ambiti Territoriali Ottimali (ATO), con una prevalenza di Regioni che hanno optato per un ATO regionale e altre in cui la dimensione degli ambiti varia dalla scala regionale a quella sub-provinciale.

Se il processo di perimetrazione degli Ambiti può dirsi compiuto[1], 2 Regioni e una Provincia Autonoma non hanno ancora individuato gli Enti di Governo degli Ambiti (EGATO). Inoltre, laddove questi sono stati individuati, non sempre risultano operativi: solo 9 Regioni vedono a regime il processo di operatività degli EGATO.

Il settore conta oggi 575 operatori, attivi nelle fasi di raccolta e spazzamento e nella gestione di impianti e produce un fatturato pari ad oltre 12 miliardi di fatturato (dato 2016), occupando 90.433 addetti.

La struttura del comparto vede un’elevata frammentazione gestionale, con ben il 55% degli operatori che non arrivano a un fatturato di 10 milioni di Euro; viceversa, il 37% del fatturato di settore è generato dal 3% di operatori caratterizzati da un volume d’affari superiore ai 100 milioni di Euro.

Dal punto di vista dell’assetto proprietario delle aziende, il rapporto evidenzia la prevalenza di aziende a partecipazione pubblica al Centro Nord e una loro presenza residuale al Sud, dove solo il 33% degli abitanti è servito da aziende pubbliche o miste

La struttura delle 280 società a partecipazione pubblica che operano nella raccolta dei rifiuti urbani conferma l’elevato grado di frammentazione del settore: oltre il 40% delle società serve un solo Comune; il 60% delle società serve una popolazione inferiore a 75 mila abitanti e gestisce meno di 40 mila tonnellate di rifiuti all’anno.

Il quadro della dotazione infrastrutturale vede forti squilibri territoriali, con gli impianti a tecnologia complessa (ossia quelli con trattamento integrato aerobico/anaerobico per la frazione organica dei rifiuti e quelli per il recupero energetico dei rifiuti urbani residui) prevalentemente localizzati al Nord e un Sud costretto ad affidarsi a discariche e impianti di compostaggio, privi della fase anaerobica di recupero del biogas e comunque già oggi insufficienti al fabbisogno di trattamento, pur a fronte di bassi livelli di raccolta differenziata.

Lo smaltimento in discarica, che il Pacchetto Economia Circolare impone di contenere entro il 10% dei rifiuti urbani prodotti a partire dal 2035, è una pratica ricorrente al Sud – dove viene trattato, in impianti prevalentemente privati, il 62% del rifiuto urbano residuo (RUR) smaltito complessivamente in discarica a livello nazionale ¬ e residuale al Nord (14%).

Opposta risulta invece la situazione relativa agli impianti di recupero energetico, concentrati per la maggior parte al Nord, dove viene trattato il 69% del RUR, a fronte del 12% trattato al Centro e del 19% al Sud. In termini di assetto proprietario dei gestori, ben il 93% del RUR viene trattato in impianti di recupero energetico gestiti da operatori a partecipazione pubblica.

A fronte di un fabbisogno nazionale di investimenti in nuovi impianti e potenziamento della raccolta differenziata stimato in circa 4 miliardi di euro, gli investimenti realizzati dai principali operatori italiani nell’arco temporale 2012-2017 ammontano a circa 1,4 miliardi di euro, di cui circa il 50% è stato destinato a raccolta differenziata e spazzamento. L’esame dei piani di investimento restituisce un incremento complessivo di circa il 60% del volume di investimenti pianificati tra il 2018 e il 2021 rispetto a quelli realizzati nei quattro anni precedenti.

A segnare il maggiore incremento sono gli investimenti in impianti integrati di Digestione Anaerobica, che registrano un forte impulso dopo lo stallo prodotto dall’attesa per l’approvazione del decreto interministeriale sull’incentivazione dell’uso del biometano avvenuta solo il 2 marzo 2018.

Il quadro delle gare gare bandite negli ultimi quattro anni per l’affidamento di servizi di raccolta, avvio a recupero e smaltimento e per la costruzione e gestione di impianti, conferma la frammentazione e “transitorietà” dell’attuale sistema di gestione rifiuti, ancora lontano dall’assetto previsto dal Legislatore.

In Italia ad oggi, sono state bandite solo 11 gare d’ambito, 5 delle quali hanno completato l’iter procedurale individuando il soggetto gestore, mentre le restanti risultano in corso (tra queste le 3 gare pubblicate da ATERSIR, l’Agenzia Territoriale dell’Emilia-Romagna per il Servizio Idrico e i Rifiuti) o annullate. Viceversa, oltre l’80% dei bandi, riguarda servizi banditi per un solo Comune.

Gli affidamenti risultano quindi territorialmente frammentati e con durate non sufficienti a traguardare gli investimenti di cui il sistema ha bisogno: oltre il 50% dei bandi ha previsto una durata non superiore a tre anni e il 20% ha previsto una durata annuale.

Dal punto di vista geografico, le gare si concentrano prevalentemente nelle regioni del Sud, dove la ridotta presenza di aziende pubbliche e, dunque, la minor possibilità di ricorrere alle gestioni in-house, fa sì che l’affidamento tramite gara sia sostanzialmente una scelta obbligata per gli Enti Locali.

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[1] Ad eccezione della Lombardia, che ha scelto di utilizzare un modello alternativo agli ATO secondo quanto previsto dal comma 7 dell’art. 200 del D.Lgs. 152/2006, tutte le Regioni hanno completato l’individuazione degli ATO.

Il volume è acquistabile sul sito della

Fondazione Utilitatis al link www.utilitatis.org/libreria-ebook/

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