Il ricorso alla Fondazione di partecipazione per l’erogazione di servizi pubblici: vantaggi e criticità nel decreto sul riordino dei servizi di interesse economico generale (D.lgs n. 201/2022) e nel nuovo codice dei contratti (D.lgs n.36/2023) alla luce del Codice del terzo settore
Dott. Edoardo Rivola, Dottore Commercialista e Revisore Legale, Dott.sa Maria Orsetti UNIPI
Abstract: La Fondazione di partecipazione è uno strumento gestionale in continua espansione nella Pubblica Amministrazione, sempre alla ricerca di modelli organizzativi capaci di coniugare la gestione e il coordinamento con la flessibilità, l’efficienza e l’efficacia di soggetti regolati dal diritto comune.
La scarsità di regole che disciplina l’istituto, la sottrazione dal rigido regime vincolistico imposto D.lgs n. 175/2016, l’apertura fornita dal Decreto sui servizi di interesse economico generale e dal nuovo Codice appalti costituiscono indubbiamente dei vantaggi che daranno ulteriore impulso a questo modello organizzativo; tuttavia, si impone ai decisori pubblici di valutarne anche i rischi, in relazione agli affidamenti diretti, imponendosi un’analisi case by case.
1.1. Il ricorso alla fondazione di (mero) diritto privato da parte delle amministrazioni pubbliche: i vantaggi
La fondazione sta diventando uno strumento gestionale di primo piano per la P.A., sempre alla ricerca di nuovi modelli organizzativi per facilitare l’erogazione di servizi pubblici perché consente di attrarre capitali privati e di avvalersi di un management qualificato in ambiti di intervento “storicamente” complessi come quello sociale e culturale; favorisce, anche, la cooperazione tra soggetti pubblici e privati che, nell’intento di perseguire il medesimo fine o comunque finalità complementari, mossi dall’esigenza di razionalizzazione delle spese possono avvalersi di un unico soggetto giuridico, regolato prevalentemente dalle norme di diritto comune.
Accanto a questi vantaggi di immediata evidenza contribuiscono al crescente ricorso a questo modello da parte della P.A. l’ampio spazio riconosciuto all’autonomia organizzativa dalle poche disposizioni del codice civile e del Codice del Terzo Settore sulle fondazioni – che consentono di disegnarne la struttura di volta in volta nel modo più funzionale alle finalità perseguite dai fondatori – e la loro storica idoneità al perseguimento di finalità pubbliche almeno nei settori di attività in cui l’elemento commerciale non è prevalente.
È innegabile, inoltre, che anche i forti vincoli posti dal legislatore al partenariato pubblico-privato in forma societaria ne abbiano ulteriormente promosso negli ultimi anni la diffusione: la crescente difficoltà degli enti territoriali (ci si riferisce, in primo luogo, ai limiti posti attualmente dal T.U. sulle società a partecipazione pubblica dal d.lgs. n.175/2016, in particolare agli articoli 3, 4 e 5 e dalla legislazione che, nel corso degli anni, ha a più riprese imposto il riordino delle partecipazioni societarie degli enti locali, la liquidazione di società non in possesso di determinati requisiti dimensionali o strutturalmente in perdita ed il divieto di costituire o assumere partecipazioni in società non strettamente necessarie al perseguimento delle finalità istituzionali) stimola la ricerca di soluzioni alternative, come quella rappresentata dalle fondazioni.
Queste ultime, infatti, non rientrano nel processo di riordino e razionalizzazione delle partecipazioni pubbliche imposto dal D.Lgs. n. 175/2016, artt. 20 e 24, che espressamente si applica alle sole società a partecipazione pubblica.
Su questo aspetto valgono comunque le considerazioni già svolte per le aziende speciali in merito alla pronuncia della Corte dei Conti n. 47/2021 GEST, ovvero che l’eventuale inserimento di organismi diversi da quelli societari nei piani ex art.20 e 24 del Tusp risponde solo all’esigenza di censire tutti gli organismi ricompresi nel perimetro del bilancio consolidato della P.A. fermo restando che le disposizioni sulla razionalizzazione sono applicabili alle sole società[1].
Perciò, gli Enti pubblici non solo non dovranno razionalizzare le fondazioni già esistenti, ma, in futuro, ne potranno istituire anche di nuove.
L’intervenuta abrogazione del comma 6 dell’art. 9 del D.l. 95/2012, ha portato, infatti, la giurisprudenza contabile a ritenere oggi che non sussista più alcun ostacolo alla partecipazione ad una fondazione, “sia essa il frutto della trasformazione di preesistenti organismi, anche associativi, sia la conseguenza della costituzione ex novo di tali soggetti giuridici”[2].
La previsione del rispetto dei vincoli di finanza pubblica resta, pertanto, profilata soltanto nell’art. 14, comma 27, D.L. 31 maggio 2010, n. 78, conv. con mod. nella L. 30 luglio 2010, n. 122, recante “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e competitività economica”.
Tale disposizione declina le materie di competenza comunale il cui esercizio è diretto “ad assicurare il coordinamento della finanza pubblica e il contenimento delle spese per l’esercizio delle funzioni fondamentali dei comuni” (art. 14, comma 25). Orbene, la doverosa inerenza di una fondazione comunale a siffatte materie implica ex se il rispetto dei predetti limiti finanziari.
Ciò vale anche per le fondazioni di partecipazione che rispondono all’esigenza delle Pubbliche Amministrazioni di disporre di uno strumento più ampio rispetto alla fondazione “tout court” purché risultino coerenti con l’esercizio di funzioni fondamentali o amministrative assegnate agli EE.LL[3].
La costituzione di una Fondazione di partecipazione è subordinata alle condizioni prescritte dall’art. 1, commi 561 e 562, della Legge n. 147/2013. Ovvero, la Fondazione di partecipazione deve essere dotata di personalità giuridica, deve soddisfare esigenze generali aventi finalità non lucrative e deve essere finanziata in modo maggioritario da Organismi di diritto pubblico e/o l’Organo di amministrazione o vigilanza deve essere designato in maggioranza da un Ente pubblico. Peraltro, l’Ente pubblico fondatore dovrà, ai sensi dell’art.3 L. 7 agosto 1990, n. 241, adeguatamente dettagliare nel provvedimento di costituzione di una Fondazione di partecipazione le ragioni giuridiche e fattuali a supporto di tale scelta mentre i criteri di conferimento del patrimonio della predetta Fondazione saranno individuati nell’atto di fondazione.
Le Amministrazioni dovranno, altresì, osservare i principi di sana gestione e le regole della contabilità pubblica, dal momento che l’utilizzo di risorse pubbliche, anche attraverso l’adozione di tale peculiare modulo privatistico impone particolari cautele e obblighi.
L’inevitabile immobilizzazione di risorse che consegue all’assunzione di partecipazioni in enti di natura privatistica, con sottrazione delle stesse ad altri impieghi, infatti, implica un’attenta valutazione da parte dell’ente, che potrà formare oggetto di verifica da parte della Corte dei Conti, in sede di controllo finanziario sul bilancio e sul rendiconto annuale di gestione.
Per esempio, un Comune in quanto soggetto promotore e socio della Fondazione, aveva posto la questione della compatibilità con le norme vigenti della cessione gratuita, in proprietà, degli strumenti musicali, acquistati con il contributo regionale, che sarebbero entrati, pertanto, a far parte del patrimonio della stessa Fondazione.
La Sezione C. Conti, Sez. contr. Basilicata, 2 ottobre 2017, n. 52/PAR, rendendo parere in termini generali ed astratti, ha osservato che l’ente, nell’autonomia gestionale che gli compete, potrebbe valutare anche la convenienza di non privarsi della proprietà degli stessi, dato che lo statuto assegna un valore economico anche ad “altre utilità impiegabili per il perseguimento degli scopi”.
Il carattere atipico delle Fondazioni costituite dagli enti locali e le considerazioni sulla natura giuridica del rapporto tra ente locale e Fondazione non incidono le finalità della redazione del bilancio consolidato e per questo si propende per la loro inclusione nel gruppo di amministrazione pubblica, sulla base della lettera dell’art. 11 ter. del D.Lgs 118/11[4].
Occorre, tuttavia, considerare la c.d. “irrilevanza” enunciata dal Principio contabile sul bilancio consolidato in forma di clausola di carattere generale, per effetto della quale il perimetro del consolidamento può non coincidere con quello degli enti del “gruppo amministrazione pubblica”. Più precisamente, “ai fini della rappresentazione veritiera e corretta della situazione patrimoniale e finanziaria e del risultato economico del gruppo”, si può giustificare il non inserimento nel perimetro del consolidamento del bilancio di uno specifico ente del gruppo, qualora esso, con il proprio bilancio, non contribuisca in maniera rilevante alla complessiva posizione patrimoniale ed economico-finanziaria della capogruppo.
Dunque, anche le fondazioni rientrano nel perimetro del consolidamento a meno che la partecipazione dell’Ente locale sia irrilevante.
I soggetti pubblici, soprattutto gli Enti locali, sono attratti da uno strumento flessibile come la fondazione che consente di superare, come sopra anticipato, lo stretto regime vincolistico che la recente legislazione ha imposto anche sul funzionamento di società pubbliche. Sotto questo profilo, infatti, la giurisprudenza amministrativa, ormai consolidata, è giunta ad affermare il condivisibile principio per cui le Fondazioni sono soggetti di diritto privato, e in assenza di disposizioni specifiche derogatorie esse sottostanno alla disciplina del Codice civile[5].
Secondo questa impostazione, rispetto alla legislazione speciale dettata per le società, gli Enti in esame non sarebbero assoggettati oltre che al Tusp al regime vincolistico riguardante costi di funzionamento e i vincoli sul personale e sulle assunzioni cui sono soggetti i Comuni in relazione al Patto di Stabilità, ma soltanto alla normativa sulla prevenzione della corruzione e sulla trasparenza – come sottolineato nella Delibera ANAC n. 1134/2017 per cui sono assoggettate a tali obblighi le fondazioni, come anche le associazioni ed altri enti di diritto privato, che presentano particolari caratteristiche e precisamente :1) bilancio superiore a 500.000 euro; 2) finanziamento maggioritario per almeno due esercizi consecutivi nell’ultimo triennio da pubbliche amministrazioni; 3) designazione da parte delle pubbliche amministrazioni della totalità dei titolari o componenti dell’organo di amministrazione o di indirizzo.
Le Fondazioni prive di tali requisiti sono assoggettate agli oneri di trasparenza stabiliti dal d.lgs. 33/2013 limitatamente ai dati e ai documenti inerenti all’attività di pubblico interesse svolta, laddove: 1) abbiano un bilancio superiore a 500.000 euro; 2) svolgano funzioni amministrative, o attività di produzione di beni o servizi a favore delle pubbliche amministrazioni, o di gestione di servizi pubblici.
Si tratta pertanto di attività riconducibili alle finalità istituzionali delle amministrazioni affidanti, che vengono esternalizzate in virtù di scelte organizzativo-gestionali.
Le Fondazioni sono, altresì, assoggettate al Codice dei contratti ove ricorrano tutti i tratti dell’organismo di diritto pubblico[6] come definito nel D.L.31 marzo 2023 n. 36 (il nuovo Codice degli appalti) all’art.1 dell’All.to 1 lett.e).
La nozione di organismo di diritto pubblico, infatti, essendo di origine comunitaria e quindi sovranazionale, prescinde dalle forme giuridiche di gestione che il settore pubblico utilizza, nei vari Stati membri, per soddisfare interessi generali.
Sembra altresì, potersi ammettere la partecipazione delle fondazioni alle gare pubbliche , rientrando nella definizione di operatore economico, del nuovo codice degli appalti D.lgs n.36/2023, contenuta nell’allegato 1, all’art.1 lett. l) che lo definisce come : “qualsiasi persona o ente, anche senza scopo di lucro, che, a prescindere dalla forma giuridica e dalla natura pubblica o privata, può offrire sul mercato, in forza del diritto nazionale, prestazioni di lavori, servizi o forniture corrispondenti a quelli oggetto della procedura di evidenza pubblica”.
Anche soggetti economici senza scopo di lucro, quali le fondazioni, possono soddisfare i necessari requisiti ed essere qualificati come “imprenditori”, “fornitori” o “prestatori di servizi”, considerata la personalità giuridica che le fondazioni vantano nonché la loro capacità di esercitare anche attività di impresa, qualora funzionali ai loro scopi e sempre che quest’ultima possibilità trovi riscontro nella disciplina statutaria del singolo soggetto giuridico. La fondazione può svolgere anche un’attività commerciale ma solo in modo non prevalente, per finanziarsi e quindi senza distribuire utili, destinati invece al perseguimento dello scopo primario non profit.
In tal senso, infatti, depone anche il rilievo che la definizione comunitaria di “impresa” abilitata a partecipare alle commesse pubbliche, non discende da presupposti soggettivi, quali la pubblicità dell’ente o l’assenza di lucro, bensì da elementi oggettivi, quali l’offerta di beni e servizi da scambiare con altri soggetti, nell’ambito di un’attività di impresa realizzata dall’organizzazione non necessariamente svolta come attività principale, con la conseguenza che tale qualificazione è riferibile anche alle fondazioni.
1.2. Le aperture alle Fondazioni offerte dal Decreto sui servizi di interesse economico generale (D.Lgs n.201/2022) e dal nuovo Codice dei contratti ( D.lgs n.36/2023)
Per lungo tempo dal punto di vista legislativo, l’unica norma che dispone in materia di affidamenti di servizi a favore di fondazioni è rappresentata dall’art. 4, comma 6, Legge n. 135/2012, c.d. “Spending Review“[7].
A ben vedere, la disposizione da un lato pone l’obbligo a carico delle PP.AA., anche locali, di acquisire sul mercato qualsiasi tipologia di servizio, dietro pagamento di corrispettivo, mediante procedure conformi ai principi dell’ordinamento comunitario, come disciplinati dalla normativa nazionale, vietando di fatto il ricorso ad associazioni e fondazioni.
Essa incide, dunque, sulla scelta, da parte degli Enti locali, dei modelli per la gestione dei servizi strumentali impedendone, di fatto, l’affidamento diretto. Il riferimento operato dal citato art. 4 comma 6 alle “procedure previste dalla normativa nazionale” è da intendersi, attualmente, al Codice degli appalti.
L’entrata in vigore, a far data dal 31 dicembre 2022, del D.Lgs 201/2022 recante il “Riordino della disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica” inserisce un tassello fondamentale per la disciplina dei servizi di interesse economico generale e le Fondazioni (e più in generale per il Terzo Settore), abrogando, tra gli altri, gli articoli 112, 113 e 117, del Testo Unico Enti Locali (Dlgs 267/00) ovvero le norme che fino ad oggi sono state il punto di riferimento primario per la scelta delle modalità di gestione ed affidamento dei servizi pubblici locali a rete e non e per la disciplina delle tariffe. Oggi, dunque, l’intera disciplina sui servizi pubblici di interesse economico è contenuta in tale decreto.
Il “riordino” individua vari moduli per la gestione dei servizi pubblici locali con rilevanza economica, nell’ambito di uno schema classificatorio che valorizza il ricorso al mercato e consolida l’attenzione per gli organismi societari, limitando il ricorso a forme organizzative diverse.
L’articolo 14 del D.lgs 201/2022, che disciplina la scelta delle forme di gestione del servizio pubblico locale (oggi servizi di interesse generale) di rilevanza economica, individua le varie soluzioni che possono essere: affidamento a terzi mediante procedure ad evidenza pubblica, affidamento a società mista, affidamento a società in house, e limitatamente ai servizi diversi da quelli a rete, gestione in economia o attraverso aziende speciali. Un set di soluzioni ampio ma comunque configurato secondo un’impostazione a numero chiuso.
La fondazione, dunque, in generale, non essendo annoverata espressamente potrà ottenere la gestione di un servizio di interesse economico generale ai sensi dell’art.14 comma 1 lett a) e articolo 15, ovvero soltanto mediante procedura ad evidenza pubblica.
Il recente decreto offre comunque un’importante apertura al Terzo settore, di cui fanno parte a pieno titolo anche le Fondazioni (Articolo 4 del Codice del Terzo settore): l’articolo 18 del D.lgs. n. 201/22 prevede che gli enti locali possano attivare con questi rapporti di partenariato per la realizzazione di specifici progetti di servizio o di intervento funzionalmente riconducibili al servizio pubblico locale (non a rete) di rilevanza economica.
La norma in commento estende pertanto anche al servizio pubblico locale di rilevanza economica l’utilizzo della co-progettazione, della co-programmazione e dunque del partenariato pubblico privato come modalità tipica di attivazione di rapporti collaborativi fra P.A. ed Enti del Terzo Settore (ETS).
Ciò in base a quanto previsto dall’art. 8, comma 2, lettera o), della legge n. 118 del 2022 – Legge Concorrenza – che, fra i principi e i criteri direttivi della delega, prevede la razionalizzazione dei rapporti tra la disciplina dei servizi pubblici locali e quella per l’affidamento dei rapporti negoziali di partenariato contemplata nel Codice del Terzo settore (D.Lgs 117/2017- Codice terzo settore), in ossequio agli indirizzi della giurisprudenza costituzionale ed in particolare la Sentenza della Corte costituzionale n. 131 del 2020 che traccia i confini della procedimentalizzazione dell’azione sussidiaria espressa negli articoli da 55 a 57 Codice terzo settore[8]. La Corte evidenzia, tra l’altro, che “lo stesso diritto dell’unione … mantiene, a ben vedere, in capo agli stati membri la possibilità di apprestare, in relazione ad attività a spiccata valenza sociale, un modello organizzativo ispirato non al principio di concorrenza ma a quello di solidarietà”.
In particolare rileva, quanto alle Fondazioni, l’articolo 55, del D.Lgs 117/2017 (Codice del Terzo Settore, Cts) .
Questa disposizione si occupa degli accordi di co-programmazione e di co-progettazione precisando che devono essere attivati nel rispetto dei principi della legge 7 agosto 1990, n. 241.
Si tratta di istituti che possono essere conclusi fra qualsiasi ente del Terzo settore e la pubblica amministrazione e possono avere ad oggetto qualsiasi attività di interesse generale e per effetto del D.Lgs 201/2022 anche, espressamente, di rilevanza economica.
Essi sono finalizzati “alla definizione ed eventualmente alla realizzazione di specifici progetti di servizio o di intervento finalizzati a soddisfare bisogni definiti”, alla luce degli strumenti di co-programmazione.
L’oggetto dell’accordo di co-progettazione, quindi, è delineato all’interno di un procedimento amministrativo nel quale vi è sia “convergenza di obiettivi”, sia “aggregazione di risorse pubbliche e private per la programmazione e la progettazione, in comune, di servizi e interventi”.
In particolare, l’aggregazione di risorse può avvenire, dal lato pubblico, attraverso contributi di cui all’art. 12 della legge n. 241 del 1990 e, dal lato degli Ets, attraverso contributi economici, beni immobili o mobili, opere dell’ingegno, ecc.
Pertanto, gli accordi hanno un certo tasso di atipicità intrinseca, nel senso che rispondono alle esigenze emergenti da ciascun tavolo di co-progettazione: le singole clausole “creano”, di volta in volta, un reticolo di diritti, obblighi, facoltà, ecc. in relazione all’obiettivo da conseguire [9].
L’apertura del decreto sui servizi di interesse generale, per inciso, al terzo settore si estende anche ulteriormente a specifiche forme di enti (non alle Fondazioni): le organizzazioni di volontariato (ODV) e le associazioni di promozione sociale (APS) ovvero a quanto stabilito dagli articoli 56 e 57 del Codice del Terzo Settore che disciplinano rispettivamente le convenzioni per lo “svolgimento in favore di terzi di attività o servizi sociali di interesse generale” anche se solo se più favorevoli rispetto al ricorso al mercato e convenzioni per il trasporto sanitario di emergenza-urgenza.
Presuppongono che sia la pubblica amministrazione a definire l’oggetto del possibile accordo, ad indire una selezione e a scegliere, sulla base di procedure comparative, l’ente o gli enti con i quali sottoscrivere l’accordo.
Le organizzazioni di volontariato (ODV) e le associazioni di promozione sociale (gli APS), quindi, partecipano a tali procedure e la selezione avviene sulla base dei criteri indicati negli atti di indizione.
Le stesse convenzioni devono rispondere ad una serie di requisiti obbligatori, sanciti dalla legge. Quindi, nelle convenzioni è la pubblica amministrazione che definisce le modalità di intervento, lasciando gli aspetti attuativi agli Enti del Terzo Settore.
Anche se si prescrive agli enti locali che intendano sottoscrivere convenzioni con associazioni di volontariato o di promozione sociale di “motivare” la maggiore convenienza dello strumento convenzionale rispetto al ricorso al mercato.
Nella co-progettazione, invece, aperta anche alle Fondazioni (ed a tutti i soggetti del Terzo Settore-art.55 Cts) la Pa individua “bisogni definiti, alla luce degli strumenti di programmazione”, ma la costruzione degli interventi è rimessa alla responsabilità congiunta di Terzo settore e Pa,
Pertanto, le modalità di erogazione dei servizi di interesse generale sono riconducibili a diverse tipologie di affidamento, disciplinate da un lato dal Codice degli appalti e dall’altro dal Codice del Terzo settore.
In particolare, a questo punto occorre chiarire il tratto distintivo fra l’attivazione di un rapporto collaborativo, ai sensi del richiamato Cts, e l’affidamento di un contratto pubblico, per l’esecuzione di servizio in appalto, su disposizione di un ente pubblico, come tale regolato dal Codice appalti.
Laddove siano utilizzabili entrambe le modalità per lo svolgimento di un servizio o la realizzazione di un’attività il Codice degli appalti si applica ai soli casi in cui le stazioni appaltanti non ritengano di organizzare detti servizi ricorrendo a forme di co-programmazione e/o co-progettazione, (Linee guida n. 17 recanti “Indicazioni in materia di affidamenti di servizi sociali” del 27 luglio 2022 dell’Autorità nazionale Anticorruzione, con valore non vincolante).
Secondo l’Anac sono estranee all’applicazione del Codice degli appalti, anche se realizzate a titolo oneroso: a) le forme di co-programmazione attivate con organismi del Terzo settore previste dall’art. 55 del Cts realizzate secondo le modalità ivi previste.
Anche il nuovo Codice degli appalti (D.lgs 36/2023) interviene sull’argomento contemplando all’articolo 6 la possibilità per gli Enti Locali di stipulare con gli Ets per attività a spiccata valenza sociale, modelli organizzativi di amministrazione condivisa privi di rapporti sinallagmatici nelle forme previste dal Codice del Terzo settore, non rientrando nel campo di applicazione del codice.
Ma cosa significa “a valenza sociale”? Forse solo le attività di cui all’art. 5, comma 1 lettera a) del 117/2017 -i servizi sociali- oppure tutte le attività di interesse generale?
Sempre il medesimo articolo del Codice appalti prevede che l’attivazione dell’amministrazione condivisa avvenga in base “al principio di risultato”, scandito all’art.1, imponendo un onere della prova a carico di tali processi e fornendo alle imprese in concorrenza uno strumento per contestare all’ente locale un avviso di co-progettazione, pubblicato senza la comprovata attestazione che esso risulti migliore rispetto all’appalto.
Al netto, comunque, dei dubbi interpretativi dell’articolo 6 del codice appalti è il soggetto pubblico che può decidere di valorizzare il principio della tutela della concorrenza degli operatori economici all’interno di un mercato pubblico regolato, ricorrendo, dunque, al codice appalti o, in alternativa, il principio di sussidiarietà orizzontale, unitamente ai principi dell’evidenza pubblica, propria dei procedimenti amministrativi ricorrendo a quanto disposto dall’art.18 del Dlgs 201/2022 che rinvia al Cts.
Quando è già definito il progetto di intervento sociale o è ragionevolmente stabile nel tempo si opterà per la competizione al fine di stabilire il soggetto che lo realizzerà alle migliori condizioni; quando, invece, non lo è e c’è la necessità di definirlo o sono attese revisioni in itinere si sceglierà la collaborazione. Come del resto si sceglierà la prima strada quando l’ente pubblico ha già tutte le risorse per realizzarlo al fine di allocarle nel miglior modo possibile e la seconda quando è necessario il soccorso finanziario del Terzo Settore.
Nell’ambito di una procedura d’appalto è l’ente pubblico a definire sostanzialmente tutto, ad eccezione dello spazio, lasciato dagli atti della procedura, al contenuto dell’offerta dell’operatore economico concorrente.
Il rapporto di collaborazione sussidiaria, che connota gli istituti del Cts, è – per tutta la durata del rapporto contrattuale/convenzionale – fondato sulla co-responsabilità, a partire dalla co-costruzione del progetto (del servizio e/o dell’intervento), passando per la reciproca messa a disposizione delle risorse funzionali al progetto, fino alla conclusione delle attività di progetto ed alla rendicontazione delle spese.
Fondamentale “chiave di volta” – la definisce il Tar Puglia – Lecce, sez. II, 30 dicembre 2019, n. 2049 – è l’aspetto della motivazione: spetta alla Pa motivare in forma logica, razionale, coerente, non distonica con il panorama legislativo di riferimento la scelta dello strumento e delle procedure da “mettere in campo”.
Una motivazione basata ad esempio sulla qualità del servizio (grazie alla capillare diffusione, sul territorio, di enti del terzo settore), nonché sulla riduzione dei costi, sfugge al sindacato giurisdizionale, costituendo esercizio non irragionevole della discrezionalità amministrativa.
L’articolo 18 del D.lgs n. 201/2022 sotto questo profilo, infatti, al secondo comma chiarisce ulteriormente i contorni dell’onere motivazionale per servizi a rilevanza economica prevedendo che la scelta di attivare rapporti di partenariato con gli ETS deve essere motivata, nell’ambito della relazione di cui all’articolo 14, comma 3, con specifico riferimento alla sussistenza delle circostanze che, nel caso concreto, determinano la natura effettivamente collaborativa del rapporto e agli effettivi benefici (non si fa riferimento sic et simpliciter al vantaggio economico derivante dalla scelta di tale istituto) che tale soluzione comporta per il raggiungimento di obiettivi di universalità, solidarietà ed equilibrio di bilancio, nel rispetto dei principi di trasparenza, imparzialità, partecipazione e parità di trattamento.
Prima dell’affidamento occorrerà, dunque, per effetto del richiamo che il comma 3 dell’art.14 fa al comma 2 tener conto “delle caratteristiche tecniche ed economiche del servizio da prestare, inclusi i profili relativi alla qualità del servizio ed agli investimenti infrastrutturali, della situazione delle finanze pubbliche, dei costi per l’ente locale e per gli utenti, dei risultati prevedibilmente attesi in relazione alle diverse alternative, anche con riferimento a esperienze paragonabili, nonché dei risultati della eventuale gestione precedente del medesimo servizio sotto il profilo degli effetti sulla finanza pubblica, della qualità del servizio offerto, dei costi per l’ente locale e per gli utenti e degli investimenti effettuati.
Nella valutazione appena descritta, l’ente locale e gli altri enti competenti tengono altresì conto dei dati e delle informazioni che emergono dalle verifiche periodiche di cui all’articolo 30 -Verifiche periodiche sulla situazione gestionale dei servizi pubblici locali-.
La norma, dunque, in maniera del tutto innovativa, definisce la co-progettazione e la co-programmazione quali “modalità ordinarie” per l’attivazione di rapporti collaborativi con gli enti del Terzo settore anche nella gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica.
De facto, espandendo la gamma delle attività di interesse generale di cui all’art. 5 del D.lgs n. 117/2017, definisce i partenariati tra pubblica amministrazione ed enti del Terzo settore quali “forme di gestione” dei servizi pubblici locali.
Individua gli enti del Terzo Settore quali soggetti abilitati e legittimati ad agire ed intervenire anche in un comparto tipicamente (e normativamente) riservato all’azione degli enti pubblici.
Il coinvolgimento degli enti del Terzo Settore nella gestione dei servizi pubblici locali, quindi, si colloca quale formula equiordinata alle altre previste dal Capo II del D.Lgs n. 201/2022.
Richiama la “rilevanza economica” dei servizi pubblici da realizzarsi in collaborazione con gli enti del Terzo settore, coinvolti, dunque, in settori che implicano una certa capacità imprenditoriale e di intervento.
Il terzo ed ultimo comma dell’articolo 18 contiene un’importante indicazione operativa: decreta l’inapplicabilità delle previsioni contenute nei primi due commi “nelle ipotesi in cui le risorse pubbliche da mettere a disposizione degli enti del Terzo settore risultino, complessivamente considerate, superiori al rimborso dei costi, variabili, fissi e durevoli previsti ai fini dell’esecuzione del rapporto di partenariato”.
Questi ultimi, dunque, non potranno determinare la corresponsione di utili, ovvero di somme che eccedano il rimborso dei costi, fissi e variabili, connessi al rapporto medesimo.
Nel Dossier del Senato sul Riordino della Disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica -AG 3, 22 novembre 2022- si legge che il terzo comma riecheggia il meccanismo convenzionale e la relativa disciplina dei rimborsi prevista dagli articoli 56 e 57 del Codice del Terzo Settore per gli ODV e gli APS, estendendolo a tutto il Terzo settore e dunque anche alle Fondazioni: ricomprendere tra i rimborsi delle spese anche il lavoro svolto dai componenti dell’ETS; in pratica non assenza di corrispettivo a carico dell’amministrazione bensì assenza di profitto per i soggetti affidatari dei servizi.
Si precisa, comunque, per tutti gli Ets, e dunque anche per le Fondazioni che il Codice del Terzo Settore prevede espressamente la “non lucratività” (ai sensi dell’art. 8 intitolato “divieto di distribuzione, anche indiretta, di utili, nell’ambito dello svolgimento delle attività di interesse generale”). Ciò in linea anche con quanto stabilito dalla Sentenza della Corte Costituzionale n. 131/2020 già richiamata che afferma che l’assenza di fini di lucro nello svolgimento di servizi di interesse generale da parte degli Enti del Terzo settore consente il loro concorso alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica in un modo del tutto nuovo: attraverso un reinvestimento degli eventuali utili in ulteriori attività sociali.
______________
[1] La necessità di censire anche partecipazioni non societarie risulta peraltro confermata dal “manuale operativo” adottato periodicamente dal MEF, secondo cui nel censire le proprie partecipazioni non societarie, gli enti territoriali devono indicare almeno gli organismi partecipati inseriti nell’elenco 1 (Gruppo Amministrazione Pubblica) di cui al principio contabile applicato concernente il bilancio consolidato (all. 4/4, al d.lgs. n. 118/2011, par. 3.1.). Occorre, pertanto, includere nelle ricognizioni annuali i consorzi, le fondazioni, aziende speciali, associazioni, istituzioni, enti pubblici economici e non economici.
[2] Corte dei conti, sez. regionale di controllo per la Regione Veneto, 28/5/2014 n. 345: “ Con decorrenza dal 1° gennaio 2014, le disposizioni recanti, rispettivamente, il divieto di assumere e di mantenere partecipazioni in organismi societari per gli enti con meno di 30.000 abitanti (art. 14, comma 32, del D.L. n. 78/2010, conv. dalla legge n. 122/2010), ed il divieto di istituire organismi comunque denominati e di qualsivoglia natura giuridica, destinati ad esercitare una o più delle “funzioni fondamentali” dell’ente ovvero una o più delle “funzioni amministrative” di cui all’art. 118 della Costituzione (art. 9., comma 6, del D.L. n. 95/2012, conv. dalla legge n. 135/2012) non sono più vigenti, in quanto abrogate dai commi 561 e 562 dall’art. 1 della Legge di stabilità per il 2014 (Legge 27 dicembre 2013, n. 147). Dal punto di vista normativo – vale a dire sotto il profilo dei vincoli di finanza pubblica – pertanto (ed allo stato), non sono ravvisabili ostacoli alla partecipazione degli enti locali in società o in fondazioni, sia essa il frutto della trasformazione di preesistenti organismi, anche associativi, sia la conseguenza della costituzione ex novo di tali soggetti giuridici. Ciò vale anche per le fondazioni di partecipazione – che rispondono all’esigenza di disporre di uno strumento più ampio rispetto alla fondazione tout court, caratterizzato dalla commistione dell’elemento patrimoniale con quello “associativo”, in ragione della partecipazione di più soggetti alla costituzione dell’organismo – funzionali, in particolare, alle ipotesi di partenariato pubblico privato, purché risultino coerenti con l’esercizio di funzioni fondamentali o amministrative assegnate agli EE.LL.”.
[3] Corte dei conti, sez. regionale di controllo per la Regione Veneto, 28/5/2014 n. 345
[4] La Corte dei Conti, con deliberazione n.157 del 3 dicembre 2020 ha, inoltre, stabilito, confermando l’orientamento ormai consolidato in tal senso che anche le fondazioni rientrano nel perimetro del bilancio consolidato al ricorrere delle condizioni dell’art.11 bis, comma 3, 11 ter, commi 1 e 2, del Dlgs 118/11 e par.2 All.to 4/41.
[5]Cfr. Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Basilicata, 2 ottobre 2017, n. 52/PAR. Nello specifico, il Comune di Scanzano Jonico, in quanto soggetto promotore e socio della Fondazione, aveva posto la questione della compatibilità con le norme vigenti della cessione gratuita degli strumenti musicali acquistati con il contributo regionale, che entrerebbero, pertanto, a far parte del patrimonio della stessa Fondazione. La Sezione territoriale, rendendo parere in termini generali e astratti, ha osservato che l’Ente, nell’autonomia gestionale che gli compete, potrebbe persino valutare la convenienza di non privarsi della proprietà degli stessi, dato che lo Statuto assegna un valore economico anche ad “altre utilità impiegabili per il perseguimento degli scopi”. Sull’ammissibilità dell’istituto, vedasi anche Sezione regionale di controllo per il Lazio, 24 luglio 2013, n. 151, e Sezione regionale di controllo per la Toscana, deliberazione n. 5/2014/PAR.
[6] Il Consiglio di Stato, sez. V, 12.02.2018 n. 858, si riferisce al D.Lgs 50/2016. Si ritiene, tuttavia, che il nuovo codice appalti riprenda la stessa nozione di organismo di diritto pubblico e dunque sia ancora attuale questa sentenza nell’attuale quadro normativo. “La Fondazione teatrale può ritenersi avente natura di organismo di diritto pubblico allorquando in possesso dei seguenti requisiti di matrice comunitaria:
a) il requisito personalistico, trattandosi di soggetto dotato di personalità giuridica di diritto privato;
b) il requisito dell’influenza dominante del soggetto pubblico, trattandosi di ente finanziato dagli enti pubblici locali e dotato di organo direzionale a designazione pubblica maggioritaria;
c) il requisito teleologico, perché destinato a perseguire interessi che corrispondono a quelli generali (cfr. per analogo caso, Cass., SS.UU., 8 febbraio 2006, n. 2637).
Ne consegue che lo svolgimento della gara secondo le modalità procedurali del Codice dei contratti non è solo frutto di una scelta volontaria della Stazione appaltante, essendo quest’ultima invece tenuta all’osservanza di dette disposizioni nelle procedure selettive bandite.”
[7] L’art. 4, comma 6, Legge n. 135/2012, c.d. “Spending Review” espressamente prevede che: “A decorrere dal 1° gennaio 2013 le Pubbliche Amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001 possono acquisire a titolo oneroso servizi di qualsiasi tipo, anche in base a convenzioni, da Enti di diritto privato di cui agli artt. da 13 a 42 del Codice civile esclusivamente in base a procedure previste dalla normativa nazionale in conformità con la disciplina comunitaria. Gli Enti di diritto privato di cui agli articoli da 13 a 42 del codice civile, che forniscono servizi a favore dell’amministrazione stessa, anche a titolo gratuito, non possono ricevere contributi a carico delle finanze pubbliche. Sono escluse le fondazioni istituite con lo scopo di promuovere lo sviluppo tecnologico e l’alta formazione tecnologica e gli enti e le associazioni operanti nel campo dei servizi socio-assistenziali e dei beni ed attività culturali, dell’istruzione e della formazione [omissis]”
[8] In Dossier XIX Legislatura “Riordino della disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica” A.G. 3 ai sensi dell’articolo 8 della legge 5 agosto 2022, n. 118. La sentenza della Corte costituzionale n. 131 del 2020 sottolinea come l’art. 55 del Cts realizzi per la prima volta in termini generali una vera e propria procedimentalizzazione dell’azione sussidiaria, realizzando “una delle più significative attuazioni del principio di sussidiarietà orizzontale valorizzato dall’art. 118, quarto comma, Cost.”. La Corte ritiene che in tal modo si instauri, tra i soggetti pubblici e gli ETS, un canale di amministrazione condivisa, alternativo a quello del profitto e del mercato: la ‘co-programmazione’, la ‘co-progettazione’ e il ‘partenariato’ (che può condurre anche a forme di ‘accreditamento’) si configurano come fasi di un procedimento complesso, espressione di un diverso rapporto tra il pubblico ed il privato sociale, non fondato semplicemente su un rapporto sinallagmatico (contratto a prestazioni corrispettive). Il modello configurato dall’art. 55 Cts, infatti, non si basa sulla corresponsione di prezzi e corrispettivi dalla parte pubblica a quella privata, ma sulla convergenza di obiettivi e sull’aggregazione di risorse pubbliche e private per la programmazione e la progettazione, in comune, di servizi e interventi diretti a elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale, secondo una sfera relazionale che si colloca al di là del mero scambio utilitaristico”.
[9] L’apertura del decreto sui servizi di interesse generale al terzo settore si estende anche ulteriormente a specifiche forme di enti (non alle Fondazioni): le organizzazioni di volontariato (ODV) e le associazioni di promozione sociale (APS) ovvero a quanto stabilito dagli articoli 56 e 57 del Codice del Terzo Settore.
© RIPRODUZIONE RISERVATA