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Le dimensioni del controllo nelle società a partecipazione pubblica: una breve analisi alla luce del Testo Unico sulle Società a Partecipazione Pubblica
L’avvento del Testo unico sulle società a partecipazione pubblica, approvato con D. Lgs. 175/2016 e poi integrato e modificato con il decreto correttivo n. 100/2017 (d’ora in poi richiamati come “TUSPP”), ha tentato di fare maggiore chiarezza su diversi ambiti definizionali che riguardano dette società, tra cui anche quello del “controllo”, oltre che chiarire (o meglio riconfermare) i termini del rapporto tra norme di diritto comune e norme pubblicistiche derogatorie.
In questo breve scritto cercheremo, dunque, di ripercorrere i termini della questione, confrontandone le dimensioni interpretative tra diritto commerciale e amministrativo, con particolare riferimento alle disposizioni adesso recate dal TUSPP ed andando poi a verificare la possibilità di una riconciliazione tra di esse, rispetto a quello che appare essere il punto di maggiore discordanza, rappresentato dal cosiddetto “controllo congiunto” nelle società pubbliche con pluralità di soci, siano o meno affidatarie di servizi o di attività da parte dei medesimi soci pubblici, ancorché nel sistema autarchico dell’”in house providing” (e quindi il “controllo congiunto analogo”) di derivazione comunitaria.
E’ noto come nel sistema delle società di capitali il potere decisionale risulti tradizionalmente ripartito tra l’assemblea dei soci e l’organo amministrativo (oltre che influenzato da situazioni di governance differenziate caso per caso) e comunque legato anche al comportamento di tutta una serie di “stakeholder”, interni ed esterni, che variamente determinano le condizioni di un equilibrio dinamico nel governo economico societario.
La “regola aurea” che presiede alla formazione della volontà assembleare è da sempre rappresentata dal principio maggioritario: i soci deliberano a maggioranza e le deliberazioni così assunte vincolano tutti, ancorché assenti o dissenzienti, salvo il diritto di impugnativa delle deliberazioni ritenute illegittime.
Le maggioranze si computano, salva diversa previsione statutaria, sulla scorta del capitale rappresentato in assemblea e non sull’intero capitale sottoscritto; ciò risponde ad esigenze di funzionalità ed efficienza dell’organo assembleare.
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